L’Academy Award come “premio locale”

L’Academy Award è il premio cinematografico più importante al mondo. La cerimonia raggiunge uno share non indifferente. Per Hollywood quella è la serata per buttare giù un resoconto sfarzoso di produzioni andate bene e di pensieri politici dibattuti.E sì, la cerimonia degli Oscar è un modo per condividere delle ideologie politiche e controbattere tutto ciò che ha interferito con quelle ideologie durante l’anno.

L’Academy Award e il politically correct

Il perbenismo hollywoodiano, il cosiddetto “politically correct”, è stato il protagonista indiscusso negli ultimi anni. Non vi nascondo che molti premi mi hanno fatto dubitare non poco del giudizio dell’Academy. La cerimonia degli Oscar va presa con sportività, su questo non c’è dubbio, ma negli ultimi tempi il politically correct ha corroso l’Accademy e ha influenzato il suo metro di giudizio.

Ne è un esempio “Coda”, film diretto da Sian Heder. La pellicola è un remake del film francese “La famiglia Bélier”. Per quanto la storia possa emozionare e appassionare non meritava certamente la statuetta come miglior film, soprattutto in una categoria ricca di titoli meravigliosi. Basti pensare a “Belfast” oppure a “Nightmare Alley”. Il perbenismo di Hollywood non lascia spazio a storie che semplicemente non hanno come obiettivo quello di sensibilizzare il pubblico verso temi delicati. E’ giusto sensibilizzare lo spettatore ma ciò non deve essere l’elemento essenziale di ogni storia. Una buona storia sa farci emozionare anche con delle semplici azioni che però nascondo un significato che tocca il cuore. Non bisogna essere eccessivamente moralisti per raccontare qualcosa, c’è bisogno di spontaneità.

L’Academy come “premio locale”

Gli Oscar nascono nel 1929 e durano 15 minuti, una cerimonia veloce e sobria. Gli anni passano, il cinema cambia e l’Academy prende atto di questi cambiamenti. Le categorie aumentano, si vuole dare spazio all’intrattenimento. Inoltre, la categoria miglior film internazionale ancora non esiste.

Ai film in lingua straniera che trionfavano veniva assegnato un premio speciale, come è accaduto a “Sciuscià” di Vittorio De Sica. In seguito, venne inserita la categoria “miglior film in lingua straniera” con la vittoria de’ “La Strada” di Federico Fellini nel 1956. Gli Oscar si aprano al mondo, tuttavia non lasciano che le produzioni statunitensi possano concorrere con dei film esteri.

L’Italia e la Francia surclassano tutti gli altri paesi in questa categoria. La prima si porta a casa ben 14 statuette e la seconda 12. In tutta la storia dell’Academy Award dei 68 film che hanno trionfato nella categoria miglior film in lingua straniera 57 erano europei, 7 asiatici e 3 africani. Questi dati fanno un po’ strizzare il naso.

Da lingua straniera a internazionale

Si passa da miglior film in lingua straniera a miglior film internazionale quando nel 2020 “Parasite” di Bong Joon-ho si porta a casa non solo il premio come miglior film straniero ma anche come miglior film. Una delle edizioni degli Academy Award più belle a mio modesto parere.

Il fatto che gli Oscar abbiano cambiato la nomenclatura di una categoria vittima di numerosi pregiudizi non rende la stessa più inclusiva. Sapete cosa rende più inclusiva una cerimonia del genere? La possibilità che un film asiatico possa concorre nella categoria miglior film. Bong Joon-ho fa bene quando definisce gli Oscar un “premio locale”, perché per quanto l’Academy si presenti inclusiva e di larghe vedute in realtà è ancora legata inconsciamente a dei pregiudizi che influenza il suo modo di pensare.

Fatto sta che quest’anno “Niente di nuovo sul fronte occidentale” è nominato in entrambe la categorie. Dubito che otterrà ambedue i premi, ma il solo fatto che abbia più di una chance accende una scintilla di speranza.

In conclusione, non è una terminologia a rendere una cosa più inclusiva ma sono i fatti, senza mai eccedere come nel politically correct. Hollywood ha ancora tanto da imparare.

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